Introduzione


Attualmente esistono diversi modi per definire che cosa sia la violenza. In questo articolo ne daremo una breve caratterizzazione illustrando nel dettaglio tutte le differenti tipologie di violenza alle quali gli individui potrebbero essere esposti.



1. Che cos'è la violenza



Il termine violenza deriva dal latino violentus, dove la radice vis significa “forza” e la terminazione -ulentus si riferisce all’eccesso.


L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ne ha parlato come l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del proprio potere contro se stessi, contro un’altra persona o contro un gruppo/comunità, tale da determinare (sia in termini di probabilità che in termini di effettivo esito) lesioni fisiche, danni psicologici ed esistenziali, problemi nello sviluppo (nel caso dei bambini), morte.


Per parlare di violenza è quindi fondamentale il concetto di intenzionalità (dell’atto o della minaccia dell’atto), di forza e di eccesso.



2. Tipi di violenza



Seguendo la definizione dell’OMS, possiamo classificare la violenza in base alla direzione e ai destinatari verso cui l’atto viene compiuto.


Si parla di violenza autoinflitta per far riferimento agli atti di violenza rivolti verso sé stessi.


In questo caso si possono distinguere comportamenti di tipo suicidario e comportamenti autolesionistici. Nel primo caso si parla di suicidi e tentativi di suicidio. Nel caso dell’autolesionismo, invece, si fa riferimento a comportamenti non finalizzati al suicidio, come per esempio l’automutilazione e lesioni fisiche ai danni del proprio corpo.


La violenza interpersonale coinvolge più individui o più gruppi di piccole dimensioni. Si divide in due sottocategorie:


  • violenza domestica

  • violenza di comunità


Nel primo caso, gli atti di violenza si consumano tra i membri della stessa famiglia e avvengono solitamente all’interno delle mura di casa.


Rientrano all’interno di questa categoria la violenza infantile – subita e/o assistita – e gli abusi sugli anziani.


Si definisce violenza assistita la situazione in cui un minore è testimone di violenze tra persone per lui significative sul piano affettivo (genitori, nonni, fratelli, ecc.). La violenza interpersonale che si verifica tra partner viene invece definita Intimate Partner Violence (IPV).


La violenza di comunità coinvolge individui non appartenenti alla medesima famiglia, che possono conoscersi o meno.


Alcuni esempi sono episodi di violenza “casuali” che avvengono in diversi contesti e ambienti (scuole, luoghi di lavoro, luoghi di assistenza, carceri) e include le violenze sessuali e/o gli stupri a discapito di persone sconosciute.


Infine, la violenza collettiva viene inflitta da e tra gruppi molto ampi, come per esempio gruppi politici organizzati e organizzazioni terroristiche. Si distingue in violenza sociale, politica ed economica.


Si tratta di atti di violenza motivati da diversi scopi (per esempio, crimini di odio razziale, guerre, conflitti armati, colpi di stato, ecc.).


Per ciascuna delle categorie fin qui esposte, è possibile identificare diverse espressioni di violenza. Solitamente vengono classificati in quattro tipi, ossia:


  • violenza fisica

  • sessuale

  • psicologica (per esempio la manipolazione mentale)

  • connessa a privazione o incuria.



3. La violenza psicologica



Non tutte le cosiddette “relazioni violente” comportano violenza e maltrattamenti fisici.


La violenza psicologica costituisce un insieme di atti e parole utilizzati come strumento di coercizione e di oppressione contro le volontà di un’altra persona.

Include abuso e aggressione verbale come:


  • urla e insulti

  • diffamazioni e discredito

  • intimidazioni, minacce di violenza fisica o di pericolose ripercussioni

  • giudizi, svalutazioni e critiche negative. 


Altre forme di violenza psicologica si esprimono nei tentativi concreti di isolare e controllare l’altro, come succede nei casi di abuso economico o finanziario.


Si tratta di comportamenti atti a controllare rigorosamente le finanze della vittima, per esempio imponendo limitazioni monetarie o anche compiendo veri e propri sabotaggi nella vita lavorativa.



4. Intimate Partner Violence e violenza domestica



Come anticipato, l’Intimate Partner Violence (IPV) è una forma di violenza interpersonale tra persone che condividono o hanno condiviso una relazione intima.


Questa forma di violenza, multiforme e trasversale, si insinua progressivamente all’interno di una coppia.


Essa richiama una serie di situazioni accomunate dall’esercizio di potere e dalla messa in atto di comportamenti abusanti sul piano fisico, psicologico e/o sessuale (coercizione sessuale).


I comportamenti dell’IPV possono essere accompagnati da atti di manipolazione mentale da parte dell’abusante, con o senza violenza fisica, e atteggiamenti di controllo possessivo di vario genere (isolare la persona dalla propria rete sociale e familiare, controllarne gli spostamenti e anche le risorse economiche).


Le violenze sessuali si esprimono sotto forma di coercizione ad intraprendere attività sessuali degradanti, rapporti non protetti, molestie e talvolta veri e propri stupri.


Le gravidanze che ne possono conseguire costituiscono un’aggravante alla situazione IPV in essere. Allo svilimento legato all’atto coercitivo del partner, si aggiunge l’idea di una “maternità imposta” in cui il partner sia riuscito ad imporre, ulteriormente, il proprio dominio sulla vittima.


Al carico di malessere e sofferenza, si associa l’angoscia e la difficoltà di decidere se portare a compimento o meno la gestazione. In generale, la gravidanza e la maternità in un contesto di violenza attivano un ulteriore vortice di maltrattamenti.


La risposta all’abuso, l’eventuale richiesta di aiuto e l’uscita dalla relazione abusante possono essere limitati da diversi fattori:


  • rifiuto o paura di riconoscere la situazione di abuso

  • auto-colpevolizzazione

  • dipendenza affettiva

  • paura di subire ritorsioni

  • preoccupazione per i propri figli

  • assenza di sostegno da parte di famiglia e amici

  • una situazione di dipendenza economica dal proprio partner, mancanza di mezzi alternativi di supporto economico

  • latente speranza di un cambiamento nel partner.


Secondo gli esperti, interrompere una relazione di abuso costituisce un processo graduale, durante il quale si acquisisce la consapevolezza e la forza necessarie per prendere una decisione definitiva.


La prevalenza degli studi si è concentrata ampiamente sulle dinamiche in cui la vittima è donna e l’abusante l’uomo, ma esistono diversi casi di violenza IPV in coppie le cui le dinamiche e i ruoli risultano invertiti (vittimizzazione maschile).


I dati disponibili in letteratura risultano pochi e incompleti, forse a causa del fatto che, per diverso tempo, il fenomeno è stato ampiamente sottostimato.


Ciononostante, in anni recenti gli studi hanno dimostrato che, anche a ruoli invertiti, si osservano comportamenti violenti equivalenti a quelli agiti dall’uomo nella vittimizzazione femminile, sia sul piano fisico che psicologico.


In generale, la letteratura conferma che l’IPV e la violenza domestica costituiscono, ormai, un fenomeno diffuso in contesti familiari con differenti caratteristiche.



5. Cause e fattori coinvolti nella violenza domestica



È possibile identificare un ventaglio di fattori che, se compresenti, possono spiegare la genesi e il mantenimento di comportamenti violenti all’interno delle relazioni familiari e di coppia.


Per citarne alcuni:


  • aver vissuto un passato di violenza domestica (come vittima diretta degli abusi e/o come testimone)

  • aspetti psicologici e caratteristiche di personalità

  • un consumo eccessivo di alcool

  • status socio-economico, povertà, disoccupazione

  • fattori legati alla società e modelli culturali

  • periodi di difficoltà economica e sociale


La violenza all’interno della propria famiglia di origine costituirebbe un fattore di rischio particolarmente importante (ipotesi della trasmissione intergenerazionale dell’IPV) per lo sviluppo di comportamenti violenti.


Tale rischio inciderebbe, in alternativa, sulla predisposizione a divenire vittime di ulteriori abusi. Tuttavia, è da sottolineare che non tutte le vittime/testimoni di violenza sono destinate a questa evoluzione.


Sul piano psicologico, diversi studi hanno cercato di comprendere se alcuni elementi legati alla personalità possano rappresentare collegamenti significativi con la violenza verso il partner.


Sembrerebbe che uomini violenti celino scarsi livelli di autostima, discontrollo degli impulsi e dipendenza affettiva, predisposizione alla rabbia e tendenze antisociali o borderline.


Inoltre, in letteratura sono presenti opinioni discordanti sul ruolo dell’alcool nello sviluppo di comportamenti violenti. Piuttosto, sembrerebbe che esso possa agire come fattore situazionale, incrementando la probabilità di violenza in quanto va a ridurre le inibizioni e le capacità di giudizio della persona.


A livello interpersonale, l’elemento più rilevante per la violenza nella coppia è rappresentato da conflitto o disaccordo nella relazione.


Per esempio, un basso status socio-economico costituisce una fonte di frustrazione, stress e disaccordo di coppia tale da poter alimentare conflitti e, dunque, violenza.


Inoltre, nelle società in cui gli uomini detengono il potere economico e decisionale della famiglia, e in cui vi è assenza di possibilità lavorative per le donne, il rischio di violenza risulta incrementato.


Sul piano sociale, il modo in cui una comunità risponde alla violenza domestica può condizionare il livello globale di abusi all’interno della comunità stessa (per esempio, la presenza di sanzioni formali e di proibizioni e la presenza di una comunità che si interessa di ciò che accade, a tutela delle vittime).


Tra gli aspetti connessi ai modelli culturali, rigidi ruoli di genere e le relative disparità strutturali e la concezione di “virilità” connessa all’idea del dominio, della forza e dell’onore, sono considerati alcuni dei fattori che aumentano il rischio di perpetrare violenza IPV.


Infine, più in generale, vivere periodi di difficoltà economica e sociale può incidere o esacerbare una situazione di conflitto.


È il caso, per esempio, dell’aumento di segnalazioni pervenute ai numeri antiviolenza e del tasso di abusi/femminicidi registrati nei primi mesi del Lockdown da Covid-19.


Infatti, le disposizioni di contenimento legate alla pandemia hanno notevolmente incrementato il rischio di violenza domestica sulle donne e inciso negativamente sulle possibilità di ricevere assistenza e intervento.



6. Conseguenze della violenza domestica



Vivere in un contesto caratterizzato da violenza comporta importanti conseguenze.


Poiché le donne maltrattate vengono costantemente sottoposte a controllo e manipolazione mentale, iniziano a vivere nella paura, cambiando abitudini e comportamenti in modo da evitare conflitti e reazioni aggressive da parte del partner.


Col tempo, possono iniziare a sentirsi responsabili del problema, vivendo forte stress e ipervigilanza insieme a vissuti di colpa e di vergogna.


Inoltre, l’impatto della violenza sulla salute si esprime tanto nel breve quanto nel lungo termine.


Infatti, essere vittima di violenza (in infanzia e in età adulta) viene considerato un fattore di rischio per una serie di patologie mediche.


È stato osservato un aumentato rischio di sviluppare disturbi funzionali, le cui cause mediche sono difficilmente individuabili. Per esempio:


  • sindromi legate a dolore cronico

  • disturbi gastrointestinali

  • sindrome dell’intestino irritabile

  • disfunzioni sessuali

  • per le donne, disturbi ginecologici e legati alla salute riproduttiva


Sul piano psicologico, si parla di un rischio più elevato di sviluppare:


  • depressione, rischio suicidario

  • comportamenti autolesionistici

  • disturbi ansiosi

  • comportamenti rischiosi, tra cui fumo, abuso di sostanze e alcool

  • disturbi dell’alimentazione

  • disturbi del sonno

  • disturbo da stress post-traumatico

  • disturbi psicosomatici

  • scarsa autostima, senso di vergogna e di colpa


Emerge quindi come, tra le conseguenze della violenza domestica, vi sia quella connessa al coinvolgimento dei figli (violenza assistita).


Le conseguenze sullo sviluppo psicofisico dei minori che assistono a violenza sono molteplici e incidono sull’autostima, sulla regolazione delle emozioni, sugli stili di attaccamento e sulle future relazioni che instaureranno.


Le ricerche, inoltre, segnalano problematiche sul piano comportamentale (per esempio bullismo), sintomi legati alla sfera ansiosa e dello stress, elementi traumatici che riemergono, difficoltà di concentrazione e possibilità di sviluppare disturbi depressivi durante la crescita.


Sono stati rilevati anche disturbi gastrointestinali, emicranie, predisposizione ad allergie e asma.


Come menzionato in precedenza, essere stati testimoni di violenza domestica può rappresentare un precursore di difficoltà comportamentali e relazionali basate sull’apprendimento di modelli di aggressività, dominanza e prevaricazione.


Quando poi si costituiscono anche altri elementi di rischio, la probabilità di reiterare tali comportamenti aumenta.



Bibliografia


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