Test di validità: cosa sono, come si usano e perché sono utili
Introduzione
L'articolo è dedicato all'approfondimento dei test di validità, una categoria di strumenti da poco disponibili per il mercato italiano ma già ampiamente utilizzati all'estero. Semplici e immediati, sono pensati per essere usati prima di qualsiasi altro strumento di valutazione, per determinare se una persona può fornire punteggi validi ai test.
Che cos'è un test di validità?
Indipendentemente dalle caratteristiche o dal motivo della valutazione, gli esaminatori devono avere la certezza che i punteggi ottenuti ai test proposti siano validi. La consapevolezza della validità del punteggio migliora il giudizio clinico dei professionisti, i quali prendono decisioni importanti in merito all'accuratezza e alla rappresentatività dei punteggi (ad esempio, il punteggio corrisponde adeguatamente alla capacità o si tratta di una sottostima?).
Un test di validità è specificamente concepito per verificare la credibilità dei punteggi dei test al fine di aiutare l’esaminatore ad individuare i casi in cui i punteggi ottenuti a un test non corrispondono all'effettivo livello di competenza del soggetto.
Differisce dal termine “validità” come solitamente definito in psicometria, dove serve a provare che un test misuri effettivamente ciò per cui è stato concepito al fine di supportare la validità di costrutto, la validità di criterio o altri tipi di validità.
Un test di validità rivela se il punteggio di un test ha adeguatamente effettuato una buona stima delle capacità dell’esaminato. Le misure concepite per valutare la validità dei punteggi di un test, tra cui la validità di domini quali la memoria o l’attenzione, sono note come test di validità delle prestazioni.
Le misure concepite per valutare la validità di sintomi o comportamenti auto o etero valutati, quali quelli misurati dalla maggior parte dei questionari standardizzati, sono note come test di validità dei sintomi (symptom validity test [SVT]; Larrabee, 2012). In base alla differente concezione, i test di validità si suddividono in tre gruppi.
Alcuni test di validità sono concepiti per individuare i punteggi non credibili in virtù del fatto che sono troppo bassi o troppo negativi. In altre parole, identificano i punteggi che sono indicativi di un ingigantimento dei problemi o dei tratti negativi ad un livello tale da non poter essere attribuito a una condizione psicologica, cognitiva, medica o neurologica autentica. In genere, si tratta di punteggi inverosimilmente bassi su alcuni test cognitivi standardizzati o di risposte inverosimili a questionari standardizzati.
Altri test di validità individuano i punteggi che sovrastimano le capacità, come se gli esaminati si presentassero sotto una luce esageratamente positiva o negassero problemi e condizioni negative reali/effettive. In genere, questi sono compresi nei questionari standardizzati. Infine, alcuni test di validità sono concepiti per individuare i punteggi che sono più simili a risposte fortuite o casuali, in cui l’esaminato non si attiene alle istruzioni fornite per l’esecuzione del test, non comprende gli item del test o completa deliberatamente gli item in maniera casuale.
Questi test sono tipicamente concepiti anche per rilevare la probabilità che il soggetto abbia deliberatamente selezionato le risposte errate secondo uno schema in cui è poco probabile che siano attribuite a risposte fortuite o casuali (ovvero, prestazioni al di sotto del livello di causalità). In genere, questi vengono considerati test di validità autonomi il cui fulcro primario, se non il solo, è di identificare le prestazioni non valide; la maggior parte di essi utilizza un paradigma che sembra misurare la memoria con informazioni sia verbali sia visive.
Perché il clinico dovrebbe utilizzare i test di validità?
Innanzitutto, i test di validità accrescono la capacità di individuare i punteggi non validi. Ancora più importante, i test di validità aiutano a rivelare quando un individuo ottiene un punteggio credibile e valido, cioè quando non simula o esagera.
Questi test accrescono la sicurezza del clinico in merito al fatto che i dati ottenuti rappresentano in maniera adeguata le funzioni effettive di una persona.
Di conseguenza, i test di validità sono utili per fornire una prova oggettiva che i dati ottenuti sono credibili e che possono essere abbinati con sicurezza ad una valutazione clinica, a dati anamnestici, alla conoscenza della patologia e a tutte le altre informazioni necessarie a formulare un quadro accurato delle funzioni dell’esaminato.
In secondo luogo, gli esaminatori hanno l’obbligo etico di garantire l’accuratezza delle loro diagnosi e raccomandazioni, il che è possibile attraverso dati validi che si ritiene siano rappresentativi delle effettive capacità (MacAllister e Vasserman, 2015).
L’adempimento di tale obbligo è supportato e agevolato dall’utilizzo di questi test di validità. In linea con questo punto di vista, in alcuni documenti la National Academy of Neuropsychology (NAN; Bush et al., 2005) e l’American Academy of Clinical Neuropsychology (AACN; Heilbronner, Sweet, Morgan, Larrabee e Millis, 2009) hanno sostenuto l’utilizzo clinico dei test di validità come routine.
Quando il clinico dovrebbe utilizzare i test di validità e con quali popolazioni cliniche?
La risposta a questa domanda è semplice: con tutte le popolazioni e per ogni valutazione.
Una ricerca recente, condotta su neuropsicologi di tutto il Nord America, ha suggerito che 9 clinici su 10 utilizzano i PVT in ogni valutazione in età pediatrica, con una media di un PVT autonomo e un PVT integrato per valutazione (Brooks, Ploetz e Kirkwood, 2016). Nonostante tali risultati, alcuni clinici potrebbero essere riluttanti all’utilizzo di routine di PVT nella valutazione delle capacità cognitive; ciò può essere dovuto ad alcune concezioni inaccurate sui PVT.
Sebbene la percezione stia lentamente cambiando, molti clinici ritengono che i PVT:
a) siano applicabili solo a consultazioni di tipo forense, mentre non sarebbero necessari per le normali valutazioni cliniche;
b) siano necessari solo quando il clinico sospetti già uno scarso coinvolgimento o una scarsa collaborazione nella valutazione;
c) in caso di insuccesso (ovvero quando il punteggio del test di validità è inferiore a un punteggio soglia stabilito), portino a risultati equivalenti a una diagnosi di simulazione di malattia;
d) infine, che non possano essere utilizzati in maniera attendibile con i bambini.
In realtà, i PVT e gli SVT sono necessari nelle valutazioni perché non tutti i soggetti forniscono dati validi. Nonostante la credenza che bambini, adolescenti e giovani adulti sottoposti a valutazione si impegnino nel processo di ottenimento di dati validi tanto quanto i professionisti che li testano, la percentuale di giovani che forniscono dati non validi – tra cui l’ingigantimento e la simulazione – non è trascurabile e in alcuni casi può arrivare al 50% (Kirkwood, 2015).
È noto come i giovani possano trarre in inganno e questo avviene in diverse condizioni e popolazioni, ad esempio nelle valutazioni dei disturbi dell’apprendimento, dell’ADHD (o disturbo da deficit di attenzione/ iperattività) e delle patologie psichiatriche (Sherman, 2015).
Ancora più comune della possibilità di inganno è il fatto che i giovani a volte non si impegnano nel processo di valutazione tanto a fondo quanto necessario per fornire risultati credibili, a causa di una scarsa maturità, disabilità, insufficiente attenzione o di altri fattori. In queste situazioni, i risultati dei test riporteranno tipicamente risposte casuali e un punteggio a livello della casualità (chance level).
La capacità di individuare quali punteggi riflettono una buona colloborazione al test è un bene di grande valore nella valutazione clinica e questa capacità viene ampiamente aumentata dall’uso abituale di test di validità.
Per queste ragioni, si raccomanda che i PVT vengano utilizzati regolarmente in tutte le valutazioni, incluse quelle condotte in ambiti scolastici, clinici e ambulatoriali, indipendentemente dalla presenza o meno di controversie, dall’elevata percentuale di prestazioni non credibili o dal sospetto di prestazioni al di sotto delle capacità.
E. M. S. Sherman, B. L. Brooks, Manuale MVP (Memory Validity Profile), Giunti Psychometrics 2019
Per approfondimenti:
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