Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi.


Galileo Galilei




Dietro ogni libro c’è una vicenda, un fatto vivo e pulsante. L’antecedente immediato di questo testo si può rintracciare in un impegno a cui mi dedico (o meglio, non mi sottraggo) da molti anni.

Come direttore della Clinica psichiatrica dell’Università di Pisa, mi viene spesso richiesto di esprimere un punto di vista a margine e un commento su alcuni fatti di cronaca.



Normalmente, ed è giusto così, gli scienziati (e gli psichiatri con loro) si occupano di articoli di diversa natura. Scritti in inglese, utilissima lingua franca dell’accademia, trovano la loro collocazione in apposite pubblicazioni ove degli esperti, anonimi rispetto all'autore, valutano la rispondenza del documento ai criteri scientifici, disciplinari, qualitativi e deontologici stabiliti da apposite convenzioni.



Per loro natura, i prodotti principali della mente dello scienziato trovano in questi luoghi la loro collocazione naturale. E, com'è ovvio, dal luogo dipendono il linguaggio, e il taglio dello scritto.

Nell’epoca delle bufale e della post-verità, questa organizzazione del sapere scientifico è certo un palladio contro la diffusione di contenuti erronei e scorretti.



Non è, si sa, un sistema perfetto. Dimostrazione recente di ciò è il caso relativo alla scorrettissima pubblicazione di Andrew Wakefield, che ha indicato una correlazione fra vaccini e autismo. Salvo avere dei conflitti di interesse non dichiarati, che lo hanno portato, fra l’altro, a falsificare alcuni dei dati presentati, questo genere di eventi sottolinea un problema che la scienza contemporanea è chiamata a risolvere.



Al di là, infatti, dei progressi che ormai si raggiungono in tutti i campi, dall'astrofisica alla zootecnia, i prodotti delle menti scientifiche sono collocati su testi comprensibili e accessibili soltanto a pochi.



Al grande pubblico rimane la divulgazione incontrollata e non sempre corretta e disinteressata, ed è difficile distinguere fra un buono studio mal presentato e un prodotto mal concepito (o fallace), ma abilmente diffuso. Il quadro si complica se si inseriscono nell'equazione quei soggetti, e non sono pochi, che agiscono in mala fede, spacciando per scienza una frottola, con la prospettiva di ricavarne un profitto economico.



È proprio tenendo presente questa prospettiva – ovvero partendo dall'assunto relativo all'importanza che il sapere di una disciplina non rimanga appannaggio esclusivo di austere biblioteche in universitarie torri d’avorio – che accetto di collaborare con quotidiani o con altri media.



Si tratta di una sfida non meno stimolante del lavoro scientifico propriamente detto.



Esprimendomi fra il serio e il faceto, potrei dire che la ricerca classica, realizzata secondo protocolli condivisi e ripetibili, sviluppi la “mente scientifica”, mentre per il commento di un fatto di cronaca occorra una “mente quotidiana”, declinazione della prima, che sia capace di trasmettere il complesso di procedure e significati di una disciplina, nel mio caso la psichiatria, in modo sintetico ed efficace, senza banalizzarli, ma consentendone la comprensione anche a chi non abbia una formazione specifica in questo settore.



La partita della divulgazione scientifica, che deve essere costantemente applicata ed esercitata, è in effetti sempre più importante. Molti, senza una specifica preparazione matematica, potrebbero rimanere come minimo perplessi osservando due fisici squadernare complesse equazioni che descrivono i bizzarri comportamenti delle particelle nei sistemi di fisica quantistica.



Certamente, tutto diventerebbe più chiaro se i fisici si premurassero di spiegare che l’astratto “sistema” a cui fanno riferimento altro non è che un comune forno a microonde, il cui funzionamento può infatti essere compreso proprio nei termini del linguaggio quantistico.



La scienza, si potrebbe dire informalmente, ha come minimo due ordini di significati: uno è quello suo proprio, interno. In un certo senso, lo si potrebbe considerare come la somma delle conclusioni di tutti i lavori scientifici di un determinato settore in quel preciso momento storico.



Tale significato interno ha poco o nulla a che vedere con la cultura che si trova all'esterno di quello specifico settore: per linguaggio, per forma e anche per ambito di interesse. La scienza ha poi un significato generale, esteso.



Quando Galileo confrontò il sistema aristotelico con quello eliocentrico non si limitò a spostare dei dischi in un diagramma, invertendo la posizione della terra e del sole. Egli contestualmente propose che una serie rigorosa e ripetibile di osservazioni dovesse avere la precedenza su un’argomentazione di pura logica, per quanto raffinata quest’ultima fosse.



Al tempo stesso, mostrò che uno studioso laico poteva avere degli argomenti da far valere contro la visione del cosmo, retaggio di un sistema gerarchico ormai vetusto, sostenuta dalle autorità ecclesiastiche. Ed è interessante notare come i piani, quello del contenuto della scienza e quello del suo significato, si intersechino nella contemporaneità1.



La scienza fornisce quindi nuovi significati e può essere un motore produttivo per la cultura in generale.



Basti pensare a quella fulgida e ottimistica stagione in cui parve che solo i romanzieri come Jules Verne potessero anticipare le conquiste dell’ingegneria, quali il sottomarino o lo sbarco sulla luna.



Tale possibilità si verifica solo se si riesce a raggiungere una sinergia efficace fra la produzione scientifica e la sua diffusione, fenomeno che deve avvenire nel senso della corrispondenza fra divulgazione ed effettivo contenuto scientifico, non nella direzione della novità clamorosa.



Da questo punto di vista, formalizzazioni come “la particella di Dio” sono poco efficaci perché non forniscono al lettore nulla di più di un concetto confuso2.



Si capisce che la “particella di Dio” deve essere importante: ma perché? Qual è, insomma, il suo significato?



Il secondo obiettivo della “quotidiana mente” dello scienziato dovrebbe essere quello dell’ergonomia, dell’utilità. La scienza è (o dovrebbe essere, nelle sue ambizioni) un sapere empirico e controllabile. In quanto tale, essa promette un’applicazione auspicabilmente utile nella vita quotidiana. Insomma, oltre a spiegarci il mondo, la scienza dovrebbe aiutarci a vivere meglio, promessa non sempre mantenuta.



Basti pensare ai disastri morali del secolo appena trascorso, che si è aperto con il gas mostarda, è proseguito con gli ordigni nucleari e si è chiuso con il fosforo bianco e l’uranio impoverito.

Talvolta, ed è questo spesso il caso della malattia mentale, il distacco fra la sensibilità comune e i contenuti scientifici è tale che, nonostante qualcosa di utile sia stato prodotto, la società non ne usufruisce quanto potrebbe.



Si fraintendono o si sottovalutano segnali, sintomi e vissuti di sofferenza, ignorando che siano disponibili soluzioni efficaci e ritardando l’osservazione medica, con tutte le conseguenze del caso.



Insomma: qualora la soluzione per un determinato disturbo sia disponibile, ma non sia diffuso il ricorso ad essa, è necessaria una qualche forma di autocritica, unita a un doveroso sforzo di diffusione e alfabetizzazione.



Ricordo un bel libro di Jerome Bruner, On Knowing. Essays for the left hand (trad. it. Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, Armando Editore, Roma, 1990), in cui l’autore (uno psicologo oggi ricordato tra i primi sperimentatori di indirizzo cognitivista) collocò tutta una serie di saggi che non seguivano la metodologia allora accettata nella disciplina, ma che non erano per questo meno interessanti.


Lo scienziato non dismette, all'atto dell’assunzione presso qualche organismo accademico, l’abito umano per divenire un calcolatore. Al contrario, come chiunque altro, può voler esprimere la sua creatività non soltanto all'interno del metodo scientifico, ma anche attorno ad esso.



Fatta salva quindi la deontologia, può essere utile partire dalla scienza per andare oltre, per colmare quella distanza fra l’ambiente sperimentale (che sia una clinica, un laboratorio o l’interno di un acceleratore di particelle) e quello naturale, ecologico.



Questo divario, forse una declinazione specifica della distanza fra teoria e pratica, o fra cultura e natura, lo si può avvertire in tutti i campi. Nel mio caso, il ricorrere a questa duplicità dello sguardo, vale a dire il sovrapporre l’ottica scientifica a quella immediata del vissuto prossimo, deriva, in ultima analisi, dalla specifica esigenza che ha il medico di vivere a stretto contatto con il paziente.



Il sapere medico, compreso quello psichiatrico, parte dall'uomo e, sebbene indugi con grande precisione su genoma, neurotrasmettitori, farmacologia, neuroimaging e su molti altri aspetti dell’estremamente piccolo o dell’infinitamente grande (fino ai massimi sistemi), sempre all'uomo torna: è in funzione del paziente.



1 Paul Feyerabend (1924-1994), epistemologo dadaista e filosofo dissacrante, criticò l’idea che la scienza vagliasse i propri contenuti sulla base di procedimenti logici rigorosi, sostituendo a queste argomentazioni il principio per cui allo scienziato andrebbe bene qualsiasi teoria: «Basta che funzioni» sarebbe il vero mantra della scienza.


2 Il bosone di Higgs, particella subatomica di difficile individuazione, non presentava una massa predicibile: lo si doveva rilevare per calcolarla. Tuttavia, questa misurazione risultò a lungo piuttosto difficile. Questo fatto, unito all’importanza esplicativa del bosone di Higgs nel sistema delle particelle costituenti la materia, gli ha fruttato il soprannome di “particella di Dio” (God particle), o di converso di “particella maledetta” (goddamn particle; Dell’Osso e Conti, 2017).




Liliana Dell'Osso, Introduzione al libro Fatti di quotidiana follia, Collana Saggi Giunti Psicologia, 2019



Ti consigliamo anche:



Il caso Coco Chanel. L'insopportabile genio



Ego è il nemico. Come dominare il nostro più grande avversario



Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati



Consulenza psicologica online. Esperienze pratiche, linee guida e ambiti di intervento



La personalità online. Tracce digitali dell'identità



Farsi vedere. La tirannia della visibilità nella società di oggi



Chi manipola la tua mente? Vecchi e nuovi persuasori: riconoscerli per difendersi