Introduzione



L’avvento dell’era digitale, nonostante i suoi innegabili vantaggi, ha avuto un notevole impatto sul sistema relazionale e sulle modalità comunicative nel gruppo dei pari.


Di fatto, le potenzialità delle nuove strumentazioni tecnologiche hanno ampliato il ventaglio delle modalità di espressione degli atti vessatori e aggressivi tra minori.



1. Il cyberbullismo: definizione



La Legge 29 maggio 2017, n. 71 in materia di “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” (GU Serie Generale n.127 del 03-06-2017) definisce il fenomeno come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo” (Art. 1, comma 2).



2. Bullismo e cyberbullismo: le differenze



Il cyberbullismo condivide con il bullismo tradizionale le caratteristiche intrinseche al fenomeno, ascrivibili alla persistenza con la quale si verificano le azioni vessatorie, l’asimmetria di potere tra vittima e aggressore e l’intenzionalità di lesione da parte del bullo.


Per tale motivo, sembrerebbe più opportuno parlare di due modalità di bullismo, quella tradizionale e il cyber (Oliverio Ferraris, 2017).


Tuttavia, le peculiarità del mezzo attraverso cui vengono reiterate le azioni di cyberbullismo contribuisce a conferire al fenomeno caratteristiche del tutto nuove e di difficile contrasto.


In primo luogo, vi è una dilatazione temporale dell’intervallo entro cui possono essere condotte le azioni vessatorie che superano i confini della presenza fisica delle parti coinvolte: a differenza del bullismo tradizionale, in quello digitale l’aggressore può tormentare la vittima ininterrottamente, a prescindere da dove essa si trovi, scavalcando anche i confini fisici, di privacy e di protezione, che per le vittime di bullismo tradizionale erano rappresentati, ad esempio, dal rifugiarsi in casa.


Un’altra differenza fondamentale è rappresentata dalla potenziale amplificazione del pubblico che assiste agli atti vessatori.


Nel bullismo tradizionale le azioni aggressive, dirette o indirette, vengono osservate da un gruppo ristretto di persone e, sebbene possano essere raccontate a terzi in un secondo momento, tale modalità conferisce all’episodio una collocazione spaziale e temporale precisa e circoscritta.


Nel cyberbullismo, viceversa, le azioni aggressive, spesso filmate e postate sui social network, possono divenire virali e raggiungere potenzialmente una platea di migliaia di persone in poco tempo. Inoltre, tali immagini possono essere copiate e condivise nuovamente in Rete a distanza di tempo, amplificandone gli effetti sulla vittima (Wallace, 2017).



3. Tipologie di cyberbullismo



Come per il bullismo tradizionale, si possono individuare varie tipologie di cyberbullismo (Oliverio Ferraris, 2017):



ƒ flaming: invio di messaggi violenti, aggressivi, offensivi o volgari in gruppi social, via e-mail o tramite qualsiasi altro mezzo di comunicazione informatica;


ƒ assillo: invio di messaggi offensivi in maniera reiterata nel tempo;


ƒ denigrazione: diffusione di pettegolezzi, calunnie e maldicenze online tese a diffamare o ledere la reputazione di qualcuno;


ƒ mascherata: furto di identità o appropriazione indebita delle credenziali di accesso di un account e diffusione di materiale pregiudizievole o di insulti e maldicenze su un terzo, al fine di incolpare il soggetto di aver offeso o leso un’altra persona;


ƒ outing o inganno: pubblicazione di materiale intimo e confidenziale o diffusione di un segreto senza il consenso dell’interessato. Nella sua forma più subdola, il sexting, consiste nella diffusione di fotografie o video a carattere sessuale contro la volontà del soggetto. Il materiale può essere prodotto sia con il consenso (ad esempio, nel caso della produzione di video o fotografie a carattere sessuale creati all’interno della coppia e poi diffusi da uno dei due componenti per vendetta o per ricattare l’altro), sia senza il consenso (ad esempio, se la vittima viene ripresa durante una violenza sessuale e il video viene postato in Rete). In entrambi i casi il materiale viene diffuso contro la volontà del soggetto;


ƒ esclusione: esclusione volontaria di un soggetto da un gruppo online;


ƒ cyberstalking: persecuzione della vittima tramite messaggi denigratori o offensivi, oppure attraverso la diffusione di materiale diffamante. Le molestie online includono minacce fisiche o intimidazioni.



Dal momento che il fenomeno si svolge in un ambiente virtuale, le sue peculiarità vanno ricercate nelle caratteristiche intrinseche al social media in uso, ossia ai fattori psicologici che influenzano il comportamento in Rete.


Tra le caratteristiche fondamentali che contraddistinguono gli ambienti online, Wallace (2017) evidenzia alcuni fattori che possono favorire la disinibizione nei contesti virtuali, tra cui l’anonimato, la distanza fisica e l’ambiguità della comunicazione sul web.



4. Principali fattori collegati al cyberbullismo



La percezione di anonimato sembra essere uno dei fattori maggiormente implicati nell’aggressività in Rete.


Sebbene sia possibile identificare l’indirizzo IP o l’account da cui provengono i messaggi, la presunzione di anonimato influenza il comportamento della persona, che appare meno legata alle norme e alle convenzioni sociali e pertanto risulta maggiormente disinibita.


In un celebre studio di Zimbardo (1969) sugli effetti negativi dell’anonimato sul comportamento si evidenzia come, dovendo scaricare scosse elettriche su un’altra persona, i soggetti del gruppo sperimentale, che indossavano cappucci e camici per aumentare la percezione di anonimato, somministravano scosse più lunghe rispetto ai soggetti del gruppo di controllo che indossavano i propri abiti e una targhetta identificativa con il nome.


Comunque, non tutti gli atti vessatori in Rete vengono condotti da soggetti che non esplicitano il proprio nome.


Fra gli aspetti salienti dell’anonimato appaiono, quindi, l’assenza di identificabilità, ossia la mancanza delle informazioni riguardanti la persona, e la mancata visibilità.

Quest’ultima richiama il secondo fattore implicato nella spiegazione del fenomeno dell’aggressività in Rete: la distanza fisica.


Essere fisicamente distanti dalla vittima ha due effetti disinibenti fondamentali per l’aggressore: in primo luogo, la vittima non può rispondere immediatamente tramite una ritorsione fisica e, in secondo luogo, la distanza impedisce nell’immediato l’osservazione delle reazioni della persona, motivo per il quale viene inibito nell’aggressore il rapporto empatico con la vittima e la possibilità di verificare sul momento gli effetti del proprio comportamento.


Ciò è valido non solo per l’aggressore, ma anche per gli spettatori virtuali che osservano gli atti del bullo online, i quali con maggiore probabilità prenderanno parte all’azione vessatoria.


Tra i fattori maggiormente implicati nel verificarsi di situazioni di cyberbullismo vi sono la mancanza di contatto visivo tra vittima e carnefice, tale da impedire l’azione di feedback immediato all’interno della relazione che non rende possibile il rapporto empatico con l’altro.


In ultima istanza, tra i fattori correlati all’aggressività in Rete si evidenzia l’ambiguità delle comunicazioni online.


Di base, ogni comunicazione testuale è soggetta ad ambiguità in quanto vengono meno importanti elementi, tra cui la comunicazione non-verbale (come i gesti e l’espressione del volto), la prosodia ed altri elementi paralinguistici che nella comunicazione vis à vis costituiscono parametri fondamentali per chiarificare il contenuto del messaggio.


Un’altra fonte di ambiguità riguarda la commistione tra sfera pubblica e privata in Rete, tra amici reali e virtuali (Berti, Valorzi e Facci, 2017; Oliverio Ferraris, 2017).

Nel web, la rete amicale non corrisponde a quella tradizionale, costituita dal gruppo di pari con cui vi è un’assidua frequentazione: si tratta piuttosto di un sistema relazionale allargato, spesso costituito da persone che non si conoscono, le cui relazioni sono a dir poco superficiali.


Del resto, quando si posta un messaggio o una foto su un social network si utilizza la parola “pubblicare”, ossia rendere noto a tutti. In tal senso si specifica la natura pubblica della comunicazione.


Tuttavia, spesso gli adolescenti in Rete non lo considerano così: condividere un’informazione privata con il gruppo di “amici” online sembra ormai essere una consuetudine.


La già citata Legge n. 71 del 2017 in materia di cyberbullismo consente a qualsiasi minore ultraquattordicenne, o ai suoi genitori, di inoltrare un’istanza al gestore del sito o del social media al fine di oscurare o rimuovere qualsiasi materiale personale relativo al minore.


Inoltre, per gli atti di cyberbullismo perpetuati da minorenni di età superiore ai 14 anni verso altri minorenni è applicabile la procedura di ammonimento, che prevede la convocazione del minore e dei suoi genitori da parte del questore.



Bibliografia



Nicola Botta, Anna Accetta, Isa Zappullo, TPB (Test Prevenzione Bullismo) Manuale, © 2020, Giunti Psychometrics S.r.l. – Firenze


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